Il coppiere del vino o Simposiarca: significato e storia di una figura mitica
Quella del coppiere è stata una delle prime figure specializzate nell’arte di conoscere, proporre e servire i vini, così importante e considerata da essere associata a personaggi “divini”.
I moderni “Sommelier” devono molto al coppiere, di cui hanno inglobato mansioni, compiti e prestigio.
Il coppiere ha origini molto lontane nel tempo. Nasce nell’Antica Grecia con il nome di “oinokóos”, l’inserviente che aveva il compito di versare il vino ai commensali durante un banchetto.
Questa figura era spesso associata al ruolo del “simposiarca”, il responsabile del “simposio”, la seconda parte di un tipico banchetto greco, quella dedicata alla degustazione dei vini e al dibattito politico.
Nello specifico, il “simposiarca/coppiere” si occupava della mescita del vino che, a causa del suo carattere sciropposo, non si beveva mai solo, ma mischiato con l’acqua. Il coppiere versava la giusta quantità di acqua e di vino nella coppa dei partecipanti al “simposio”, in modo tale da potersi gustare al meglio la bevanda.
La figura del coppiere, l’“oinokóos” greco, fu adottata, con mansioni sostanzialmente identiche, anche dai Romani, con il nome di “cyntus” o “pincerna”. Si trattava di un ruolo considerato di grande importanza e di grande responsabilità, per cui veniva assegnato soltanto a persone fidate.
Nelle corti reali medievali, soprattutto in quelle francesi e tedesche, il coppiere assunse ancora più potere e prestigio. Presso i Capetingi, il coppiere poteva vantare il rango di grande ufficiale della Corona, uno dei massimi riconoscimenti per i funzionari reali.
Le sue mansioni diventarono sempre più specifiche. Durante i banchetti, il coppiere aveva il compito di servire il vino alla tavola reale e di verificare che la coppa del re non fosse avvelenata. Per questo, assaggiava il nettare prima di proporlo al re e agli ospiti.
In alcune corti europee, la figura del “coppiere” fu affiancata da quella del “bottigliere”: il primo portava il vino a tavola, il secondo si occupava della preparazione delle coppe/caraffe di vino, in particolare quella del Re o del Signore, oltre che dell’assaggio. In ogni caso, in gran parte dei casi, i compiti delle due figure venivano assolti da un’unica persona.
Per questi motivi, il coppiere è stato sempre presentato come una persona competente, un conoscitore di vini, ma soprattutto affidabile, perché da lui dipendeva la sopravvivenza del re, in un’epoca in cui gli avvelenamenti erano molto frequenti. Godeva di una posizione privilegiata, come funzionario di alto rango e aveva notevole influenza a corte, partecipando talvolta alle decisioni del Re.
Col tempo, le funzioni del “coppiere” e del “bottigliere” furono assunte dal “somigliere di bocca” per poi arrivare ai moderni “sommelier”, ma è innegabile che parte del prestigio di cui godono le attuali figure qualificate legate al mondo del vino sia riconducibile all’importanza assunta dal coppiere nel corso della Storia.
Ganimede: il coppiere degli dei
La figura del coppiere è presente con una certa frequenza nella mitologia greca, a conferma della sua rilevanza nella tradizione antica. A tal proposito, Ganimede è considerato il principale rappresentante, avendo svolto il ruolo di coppiere degli dei.
Secondo la versione più diffusa del mito, in origine, Ebe, figlia di Zeus e di Era e Dea della eterna giovinezza, aveva il compito di mescere il nettare agli dei. Un giorno, la coppiera dell’Olimpo, mentre svolgeva il suo prestigioso compito si mostrò piuttosto ebbra, spingendo Zeus a cercare un sostituto.
Per svolgere quell’incarico, Zeus scelse Ganimede, descritto da Omero come il più bello di tutti i mortali del suo tempo e del quale il re degli Dei s’invaghì. Per portare il giovane sull’Olimpo, Zeus si trasformò in un’aquila e lo rapì, offrendo in cambio al padre una coppia di cavalli divini, un gallo e un tralcio di vite d’oro.
“Da quel momento in poi, Ganimede è ricordato proprio per il prestigioso ruolo di coppiere degli dei. Non a caso, in tutte le raffigurazioni è presentato con un’aquila, con due coppe di vino e un tralcio di vite. In verità, il saggio Zeus rapì il biondo Ganimede per la sua bellezza, affinché vivesse tra gl’immortali e nella dimora di Zeus versasse da bere agli dei
“– prodigio a vedersi, onorato da tutti gl’immortali –
attingendo il rosso nettare dal cratere d’oro.
Un dolore inconsolabile invase l’animo di Troo, che non sapeva
dove il turbine divino gli avesse rapito suo figlio:
da allora egli lo piangeva sempre, ininterrottamente.
E Zeus ebbe pietà di lui, e gli diede, in compenso del figlio,
cavalli dal rapido passo, di quelli che portano gl’immortali.
Questi gli diede, perché li tenesse come dono; e ciò ch’era accaduto gli espose,
per mandato di Zeus, il messaggero uccisore di Argo:
che il figlio era immortale, e immune da vecchiezza, come gli dei”
Inno V ad Afrodite, 202-214. Si cita dall’edizione a cura di Filippo Cassola, Inni omerici, Milano 1975